Abbazia di Sant’Egidio in Fontanella – Sotto il Monte Giovanni XXIII

L’ex complesso monastico di Sant’Egidio abate, oggi Cappella Rettoria Vescovile

La chiesa appare all’improvviso alla fine di una strada che sale serpeggiando sul versante orientale del monte Canto, posto al limite settentrionale del triangolo dell’Isola. Venne fondata nel 1080 da Alberico da Prezzate, nobile bergamasco che per meritare la salvezza della sua e delle anime di Teiperga, Isengarda e Giovanni, forse suoi consangui­nei o forse soltanto persone a lui particolar­mente care, donò un appezzamento di terre­no che si trovava sul monte Vergese, antico nome del monte Canto, nel luogo detto Fontanella, per edificare un monastero in onore di S. Egidio.
In particolare su Teiperga si concentrarono la curiosità e la fantasia degli storici locali, che la identificarono con la regina Teutberga, moglie ripudiata del re Lotario li, vissuta nel IX secolo e dunque anteriore di due secoli alla benefattrice e fon­datrice del monastero, come viene definita Teiperga in due documenti dei 1308 e 1536, qui sepolta in un sarcofago, collocato sin dal 1479 entro un’edicola di recupero, addossa­ta al lato meridionale della chiesa.
Il monastero, forse originariamente femmini­le e dipendente da S. Giacomo di Pontida, fondato solo quattro anni prima dallo stesso Alberto, divenne un priorato autonomo nel 1095 e per tutto il XII secolo svolse un’azione socio-economica importante nell’isola, come testimoniano numerosi atti di acquisto, per­muta e donazione di terre da parte della nobiltà locale. Ma già nel XIII secolo andava decadendo, se bisognava nominare un priore proveniente dall’Alvernia, e così nel XIV seco­lo i documenti segnalano tristemente debiti e difficoltà economiche del cenobio, sino alla decisione finale di papa Sisto IV, che nel 1473 decise di annetterlo alla basilica di S. Marco a Venezia.
Dalla seconda metà del XVII secolo la chiesa tornò in possesso della diocesi bergamasca, diventando parrocchia del distretto, mentre il monastero con tutte le sue dipendenze, divenne proprietà privata dei principi Giovannelli, appartenenti al patriziato veneziano. Negli anni trenta fu costruita la nuova parrocchiale ed in essa furono trasportati tutti gli arredi sacri e suppellettili della chiesa monastica. Gli edifici monastici, con i relativi possedimenti, nel 1914 vennero ceduti alla famiglia Radaelli che li tenne fino al 1948 vendendoli poi ai contadini del luogo.

Cenni storici sul monastero

Perfettamente aderente alla sua funzione, il monastero, pur nelle sue vicissitudini e nelle stratificazioni succedutesi nei vari secoli, mostra una discreta unità di stile non facilmente riscontrabile in altre affiliazioni cluniacensi dell’area lombarda.

Il piano generale del monastero, interamente costruito tra il 1080 e il 1130 circa, è semplice, conforme a una sobrietà architettonica tipica delle fondazioni povere e decentrate. Tuttavia lo schema planimetrico risponde sufficientemente ai prototipi abbaziali cluniacensi di San Gallo, di Cluny stessa e soprattutto di Vertemate. Ma l’architetto di Sant’Egidio si trovò probabilmente di fronte a problemi di non facile soluzione: il terreno irregolare e generalmente scosceso verso sud (il monastero si erge nel centro di una conca ad anfiteatro tutta aperta a mezzogiorno) e una pietra di facile lavorazione ma di estrema fragilità chimico-strutturale.

La chiesa venne infatti costruita a monte di tutto il complesso, il quale si sviluppò, di conseguenza, tutto verso sud, a vari livelli e attorno a un piccolo chiostro sul lato destro della chiesa. Così come attualmente noi lo vediamo, il complesso monastico è costituito dal risultato di una serie di stratificazioni edilizie succedutesi in vari secoli. Alla primitiva semplice costruzione degli anni intorno al 1080 si aggiunse tutto il complesso di edifici che accompagnarono l’ingrandimento della chiesa intorno al 1130.

Nel 1320 viene ridimensionato il tracciato degli edifici conventuali demolendo alcune parti, che vennero però ricostruite nel 1338. Trentacinque anni dopo, nel 1373, vi è una seconda distruzione che ripete sostanzialmente quella del 1320. Nel 1432 si assiste a una ripresa dell’attività edilizia con la ricostruzione “Avogadri”: è in tale periodo che viene ripristinato il cosiddetto “palazzo”, l’ala perpendicolare alla chiesa.

Alla fine del ‘400 viene edificata la torre sud-ovest dal vescovo Gabriel, che la sigillò con il proprio stemma, ancora visibile sul lato ovest, dove pure esistono una bifora ogivale e un grande arco a sesto acuto al piano terreno per l’accesso al monastero. Infine, nel ‘600, su tutto il lato nord della chiesa vengono addossati una sacrestia con un portico e, poco staccata dalla facciata e prospiciente ad essa, una cappella per i morti della peste manzoniana.

Le indicazioni, necessariamente brevi e frammentarie, a riguardo del monastero danno sufficiente idea della complessità dell’argomento, per il quale esistono soltanto ipotesi, e tuttora da verificare. Basti pensare che l’attuale spazio del piccolo chiostro probabilmente era più grande, spingendosi fin sul filo della facciata della chiesa (il Calvi parla di tre chiostri!). Quindi, l’odierna visione del complesso, che è frutto di lavori eseguiti a metà del secolo scorso, non può dare la percezione della vera fisionomia avuta dal monastero.

La struttura della chiesa

L’attenta visitazione delle forme, delle strutture e dei materiali architettonici costituisce la parte più suggestiva e significante della sosta in questo luogo. Oltre a una dettagliata descrizione dei vari elementi costruttivi, daremo anche alcune tracce per una lettura simbolica e spirituale degli stessi, secondo la tradizione ispirativa medioevale.

La pianta e la sezione longitudinale permettono di evidenziare alcuni degli aspetti architettonici più caratteristici del tempio che rivela un’impostazione piuttosto articolata e che presenta una puntuale somiglianza con altre abbazie cluniacensi lombarde. All’interno la chiesa si presenta a tre navate, coperte interamente da un tetto a capriate lignee in vista. Il transetto, non eccedente, è a crociera nella parte centrale, su cui si innalza la torre campanaria.

La pavimentazione, frutto di un rifacimento paziente e oculato in anni recenti, è costituita parte da pietra nera e parte da pietra rosata. In origine, essa era forse in terra battuta o in cotto e complanare, tranne che nella zona absidale. Dopo il restauro del 1910-1911 il pavimento ha ricevuto l’attuale sistemazione, che comprende: un piano a quota zero corrispondente all’area occupata dalle tre navate antecendenti lo pseudotransetto; un piano rialzato di un gradino in corrispondenza del solo pseudotransetto; un piano, cui si accede attraverso altre due alzate, che forma la zona presbiterale antecedente le tre absidi; un ultimo pavimento che occupa solo il rettangolo e l’emicerchio absidali.

Le tre absidi semicircolari che concludono le navate sono precedute, in quella centrale, da un presbiterio irregolare, a base quasi quadrata, coperto a crociera e da una volta a botte deigradante; e in quelle laterali da due vani quasi quadrati, anch’essi irregolari e coperti a crociera e che corrispondono al transetto di un primitivo sacello.

La separazione delle tre navate è data da due file di quattro colonne a stretto diametro, che reggono le alte compagini murarie, e da quattro poderosi pilastri quadrilobati ai quali è affidato il peso della torre. Una particolarità dello pseudotransetto è che i due bracci laterali sono divisi dalla zona centrale da una colonna e da due arcate di comunicazione per parte; non solo, ma la presenza del campanile determina una asimmetria:

l’arco traverso che introduce nel braccio destro è fortemente obliquo ed è impostato su una semicolonna addossata alla parete, mentre la volta della campata di sinistra poggia su un più leggero capitello incassato a mensola nel muro. Tutto questo indica che la costruzione della torre dovette arrecare alcune difficoltà statiche soprattutto nella parte a mezzogiorno, che venne appunto rinforzata da questo pilastro a semicolonna e, in tempi recenti (1911), da un contrafforte visibile esternamente nel chiostro.

Le decorazioni sono ridotte al minimo e tutta l’attenzione è catturata dalla nitida scansione dei volumi che emerge dai sostegni cilindrici, dagli archi a ghiera semplice e dal succedersi delle capriate lignee. Le murature sono molto eterogenee. Nelle navate laterali i conci sono irregolari, appena sbozzati e messi in file orizzontali. Anche le compagini murarie della zona absidale risentono di questa irregolarità. Del resto, queste superfici dovevano essere in origine totalmente affrescate, a giudicare dai vari frammenti rimasti; fa eccezione la curva absidale, dove, invece, le pietre sono a corsi orizzontali regolari con qualche tentativo policromo dato da tre file di arenaria grigia.

La navata centrale assume tutto un altro aspetto sia nell’uso rigoroso di una stessa vena di arenaria, sia nella perfetta regolarità dei conci sistemati in corsi perfettamente orizzontali. Qua e là sono inserite pietre lavorate a rilievo con figure geometriche trapezoidali, quadrate, a spirali; altre presentano segni più o meno complessi ancora non decifrati. L’ipotesi più attendibile sulla loro origine le identifica con emblemi delle maestranze e delle corporazioni organizzate dei costruttori e dei lapicidi.

Le alte e serrate arcate sono sostenute da sottili colonne monolitiche. I capitelli sono in parte di tipo cubico, ornati da volute rustiche e arcaiche schiacciate come solchi; in parte sono lavorati con lobi aggettanti o sporgenti e con elementi naturalistici stilizzati. Due sono di fattura romana e qui collocati di riporto da un tempio distrutto. Sopra ogni capitello, e prima dell’attacco dell’arco, vi sono alti pulvini tronco-piramidali.

Le colonne poggiano su basi formate da un piccolo toro, un listello, un’ampia scozia e infine un poderoso toro unghionato poggiato su un plinto a base quadrata. Alla ricca articolazione interna fa riscontro una maggiore austerità esterna. All’interno essa si traduce, come abbiamo visto, in una sapiente alternanza di pieni e di vuoti e in un calibrato gusto cromatico giocato valendosi di due materiali diversi: il grigio ferro e il giallo chiaro di due diverse vene di arenaria locale, nota col nome di pietra di Mapello.

La prima predomina nella navata verso il lato ovest sottolineandone la severità, mentre la seconda con la sua tinta calda anima soprattutto il complesso delle tre absidi e del presbiterio. All’esterno il gioco delle strutture imprime un carattere di vera eleganza e insieme di calibrata volumetria. Ciò è visibile soprattutto dalla parte delle tre absidi, dove è possibile cogliere l’espressione più autenticamente originale della chiesa. Qui scompare la successione dei tetti delle navate minori, che terminano contro lo pseudotransetto; mentre emerge l’imponente verticalità della torre che, innestata nel corpo dell’edificio, si staglia con il suo netto volume.

L’abside maggiore è solcata da quattro semicolonnine a stretto diametro senza capitello. Esse poggiano su un leggero basamento e scandiscono la superficie in cinque scomparti; in quelli centrali trovano posto tre finestrelle. Tali monofore sono piccole, a doppio strombo con piano piatto, costituite da due spalle in un unico concio di pietra e sormontate da un archivolto monoblocco la cui ghiera, particolarmente curata, porta incisi motivi geometrici e volute stilizzate. Gli archetti sono ciechi e in numero di cinque nei tre scomparti centrali e quattro nei due scomparti estremi. La loro forma è regolare e formata da piccoli conci di cotto. Le piccole mensole sono in pietra a tronco di piramide affusolato.

L’archeggiatura sorregge una cornice sporgente senza decorazioni; mentre la parte sottostante si arricchisce di elementi decorativi tramite una fila di cotto disposta all’altezza dei peducci dell’archeggiatura e le figure incise sulle ghiere delle monofore e sui conci trapezoidali affiancati agli archivolti. Il materiale è irregolare, costituito da conci piccoli e grandi su corsi orizzontali con prevalenza di pietre più grosse nella parte inferiore dell’abside. Il semicono di copertura è costituito da pietre regolarmente disposte. Le absidi minori hanno caratteristiche analoghe a quella maggiore.

Due semicolonnine dividono la superficie in tre scomparti e incorniciano le piccole monofore, a doppio strombo più corto; il piano è piatto e a sezione tonda all’esterno più profondo, a piano inclinato e a sezione rettangolare internamente. Le ghiere, un po’ più aggettanti delle due monofore, sono decorate da bassorilievi con parallelepipedi a scacchiera (abside di settentrione) e con piccole semisfere (abside meridionale). La compagine muraria che forma l’estremità orientale della chiesa, e nella quale si innesta l’abside maggiore (capocroce), emerge con la sua forma a spioventi e denota una tecnica costruttiva coerente con le tre absidi: pietre disposte in corsi orizzontali con la presenza qua e là di frammenti e scaglie di cotto.

Qui l’archeggiatura è formata da piccoli conci di pietra con peducci sottili e affusolati. Tra l’archeggiatura e il poco aggettante cornicione vi sono tre corsi irregolari di pietre e una fila di mattoni in cotto posta a zig-zag. L’archeggiatura si ripete sulle sommità dei paramenti a capann dei primitivi transetti con le stesse prerogative sopra accennate. Sopra questi vi è un’anomalia costruttiva formata da due blocchi triangolari di arenaria grigia di pietra, forse della primitiva facciata, forse messi all’epoca “dell’aggiunta” per “contraffortare” la “torre” campanaria. Internamente infatti non hanno alcuna corrispondenza architettonica.

Il transetto, verso mezzogiorno, ha anch’esso, sotto il cornicione, un motivo di mattoni a zig-zag e due piccole monofore a doppio strombo. I fianchi della chiesa, corrispondenti alle navatelle laterali, furono edificati nel 1130 circa, con una minor cura estetica e con mezzi più semplici.Oltre a questo, va sottolineato l’intervento restaurativo degli inizi del ‘900: ultimo, in ordine di tempo, di una serie di modificazioni, a volte infelici a volte discrete e rispettose, effettuate, per citare le più importanti, nel 1479, per un restauro ai fianchi;

nel 1568, per opere di manutenzione; nel 1604, per un intervento che alterò le primitive proporzioni innalzando il tetto e aprendo finestre in facciata e sul fianco destro; nel 1618, per un altro restauro; nel 1631, con l’intento di alzare la torre e di rifare il pavimento interno. Fu fatto solo il pavimento. La facciata risente, più delle altre parti, del restauro dell’inizio del secolo scorso. Ed è comprensibile, se si pensa ai rimaneggiamenti seicenteschi che ne avevano radicalmente alterato l’aspetto, fra l’altro facendone diventare il profilo a capanna.

Oggi si presenta divisa in tre scomparti da larghe lesene piane, che lasciano trasparire all’esterno la larghezza delle tre navate interne. L’altezza delle navatelle interne è pure recepibile dal profilo a salienti interrotti. La parte centrale è più alta di quelle laterali. In queste ultime trovano posto due monofore a doppio strombo, a piano piatto e con feritoia a sezione tonda (a sinistra) e sezione quadra (a destra). I portali sono due: uno centrale, ampio, strutturato con sistema trilitico con monoliti e con lunettone superiore;

l’altro molto più piccolo, a destra, archivoltato e formato da due spalle monolitiche e da tre monoblocchi formanti l’arco (quello centrale con l’interessante forma romboidale). Nel lunettone centrale è stato inserito in epoca recente un bassorilievo raffigurante l’Agnello, proveniente da un’antica costruzione delle vicinanze. La muratura è a conci regolari ma di diverse dimensioni, connessi con poca malta, collocati in corsi orizzontali con inserimento di blocchi verticali.

La torre campanaria costituisce un elemento architettonico piuttosto imponente rispetto alla chiesa. La muratura è a conci piuttosto irregolari nelle compagini centrali, mentre più squadrati sono i conci relativi alle testate angolari e in sommità. Su tutta la superficie sono presenti i caratteristici fori lasciati dalle impalcature durante la costruzione. Le aperture sono, nella parte inferiore, limitate ad alcune strette feritoie strombate solo internamente e alla porticina ad arco per l’accesso alla cella campanaria.

Nella parte superiore vi sono quattro grandi aperture a trifora con arco di scarico. Le colonnine di divisione sono frutto di restauro. Ricostruita con pezzi originali recuperati è invece la trifora del lato a ovest. Il cono cestile di copertura fu rifatto integralmente nel 1910-1911 in mattoni sagomati di terracotta. Esso è attorniato sui quattro spigoli da altrettanti pinnacoli.

 

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IN AUTO O IN PULLMAN
(autostrada A4 Milano-Venezia)
vista sant’EgidioSi esce dal casello di Capriate. Alla rotonda, appena superato il casello seguire le indicazioni per Sotto il Monte Giovanni XXIII: prendere la seconda strada a destra; dopo circa 12 km a Calusco quando la strada termina con una rotonda, prenda a destra (ancora la seconda) seguendo le indicazioni. Giunti al semaforodi Carvico, dopo poco più di un km, svoltare di nuovo a destra. Dopo poco meno di 2 km immettersi nella corsia di svolta a sinistra (è la prima) con l’indicazione Sotto il Monte Giovanni XXIII. Proseguire verso il centro del paese e alla prima rotonda svoltare a destra lungo via Aldo Moro e dirigersi verso la località di Botta. Quando la strada si interrompe, girare a destra per la strada in salita. Al bivio prendere a destra per via Fontanella e salire per circa un km.

MEZZI PUBBLICI
Prendere il treno o il pullman per Bergamo. Fuori dalla stazione ferroviaria del capoluogo orobico uscendo sulla destra oltre il piazzale si trova la stazione delle autolinee. Prendere il pullman della linea Locatelli in direzione Brivio o Capriate San Gervasio. Il percorso dura circa 45 minuti. Una fermata a Sotto il Monte è all’imbocco di via Aldo Moro. Proseguire a piedi lungo via Valsecchi per circa 1,5 km e poi salire la collina, prima per via Botta poi per via Fontanella, per circa 20 minuti.

CHI VIENE IN AEREO
Scalo all’aereoporto di Bergamo Orio al Serio. Dall’areoporto c’è un servizio di linea ATB, che collega, con corse ogni 15 minuti, l’aereoporto con la città di Bergamo, dalla quale si prosegue in taxi o in pullman, come indicato sopra.

 Tel: 035.791227 

Email: s.egidio@servitium.it

Fax: 035.4398011

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